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Intervista in Paradiso a San Giuseppe Marello fondatore degli Oblati di San Giuseppe
P. Pasquale princigalli: abbiamo voluto fare un salto in Paradiso, ponendo alcune domande al nostro Padre Fondatore



Fragili e ansiosi i ragazzi di oggi risentono soprattutto della mancanza di figure paterne

autorevoli. Precoci e informati su tutto, ma anche soli, orfani di padri viventi. È necessario che ritornino padri. Anche i padri spirituali, padri dei giovani.

Abbiamo voluto fare un salto in Paradiso, ponendo alcune domande al nostro Padre Fondatore.

* Ritornino i padri dei giovani! Ma i nostri se­minari sono in epoca di vacche magre (scu­sami l'espressione irriverente). Dopo il mo­mento della curva depressiva, non arriverà il tempo delle vacche grasse, voglio dire del superamento e della rifioritura delle voca­zioni?

L'immagine non è irriverente: è ricavata dalla Bibbia. La storia è come uno stupendo tappeto; voi vedete il rovescio, qui in Paradiso invece sì contempla il risvolto positivo. L'amore non muo­re. La vocazione non tramonta mai. I vostri al­larmi angosciosi per la flessione delle vocazioni non hanno alcun riflesso qui, dove le vostre co­siddette crisi drammatiche vengono viste come il chiaroscuro di un quadro stupendo. Iddio fa fiori­re i deserti e dà alla sterile un esercito di figli. Della storia può insegnarvi qualcosa. L'attuale esuberanza numerica delle suore di Madre Tere­sa di Calcutta e mille altri fermenti di risveglio non vi dicono proprio nulla?

*Come si spiegano i noviziati traboccanti di madre Teresa in confronto con gli altri semi­deserti?

Leggete la regola e visitate una comunità di questa congregazione: le tre ore quotidiane di adorazione eucaristica spiegano la cosa meglio che i vostri esperti, che prosciugano damigiane dì inchiostro per imbrattare libri. La loro forza viene dal tabernacolo.

* Torniamo al mondo dei giovani. La realtà giovanile è complessa, segue percorsi diver­si. Spesso si rischia di attribuire ai giovani un malessere che è dì tutta la società e del mondo adulto in particolare. Come avveniva ai tuoi tempi, vivono un eterno presente...

Questo accento sul presente pone il problema di essere felici oggi, nonostante incertezze e dif­ficoltà. Questa è la sfida della vita, l'esigenza più profonda dell'essere umano. La vostra società ha sacrificato molto, per anni, sull'altare delle atte­se future. E, come Chiesa, sull'altare del... Para­diso. È il momento dì cogliere le provocazioni dei giovani: non vanno tenuti "buoni" per il domani. Sono persone preziose oggi e le loro esigenze vanno ascoltate, capite e valorizzate.

*La domanda religiosa è in crescita, eppure la religione di fatto finisce in fondo alla sca­la dei valori. La religione è una realtà molto emotiva per loro. Sono allergici alle regole e alle norme morali, ma vogliono sentirsi coinvolti dal fatto religioso.

È urgente mettere al centro dell'azione pa­storale l'attenzione per la missione: comunica­re quello che crediamo e, soprattutto, viviamo. È necessario che la parrocchia e l'oratorio pas­sino dal vecchio modello della "delega" ad uno nuovo, quello della responsabilità "corale", verso una comunità "soggetto" di educazione. Occorre quindi una nuova mentalità ecclesiale di vivere la missione. Lamissione non è per gli eroi solitari. È urgente superare il paradosso della missionarietà individuale.

*Per grazia di Dio ci sono ancora molti edu­catori, sacerdoti e laici, che trasmettono i valori umani e cristiani con la parola e so­prattutto con la testimonianza della vita, rendendoli così praticabili. Ma ci sono anche tanti venditori di fumo, di aria fritta, di con­tenitori vuoti confezionati ad arte con car­ta luccicante e fiocchetto rosso. E c'è tanta smania di giovanilismo. A proposito, che ne pensi del giovanilismo tanto in voga ai no­stri giorni?

Il giovanilismo diverte ma non converte, su­scita compagnia ma non cammini educativi. Per essere amici dei giovani non è necessario esse­re anagraficamente giovani. Questo è un equi­voco che è duro a morire. I giovani cercano negli educatori la sintesi tra la giovinezza del cuore e l'esperienza della vita. Credete prima alla fatica e alla bellezza dell'educare e allora vi chiederete quali risorse e quali linguaggi mettere in campo.

Non viceversa. Allora emergeranno anche adole­scenti e giovani che hanno voglia di cose impor­tanti, che non si tirano indietro nella fatica, che rinunciano alle loro vacanze per fare qualcosa di impegnativo. Magari, inaspettatamente, ci sarà qualcuno che vi chiederà di accompagnarlo nella fede e nei comportamenti, non soltanto perché siete sacerdoti o educatori, ma perché gli siete stati accanto, anche quando lui era insopportabi­le, perché gli avete detto dove sbagliava, senza giudicarlo, dandogli così la possibilità di ricomin­ciare. I ragazzi distinguono bene le cose vere da quelle taroccate. E non solo le cose.

* Che cosa vuol dire, in concreto, per un edu­catore tener viva la coscienza di una respon­sabilità di fronte alle nuove generazioni che stanno vivendo la fase evolutiva, dalla quale probabilmente dipende tutto il loro futuro? Vuol dire adottare un metodo basato sulla presenza e sul rapporto personale, mettendo in conto i sacrifici che una presenza costante richie­de. Vuol dire finezza e serietà che consentono all'educatore di vivere con i ragazzi e i giovani un rapporto umano ricco di attenzione e di con­fidenza. Vuol dire tener conto delle domande di fondo dei giovani e delle loro esigenze, a volte inespresse e a volte disarticolate. Vuol dire, per esempio, rispondere a un loro bisogno di parte­cipazione, vuol dire accoglienza, atteggiamento di fiducia. Vuol dire anche "dare una mano" a formare nei giovani la capacità di reagire ai rischi di una massificazione culturale imposta dai mass media, acquisendo un vivo e costruttivo senso critico.

Evidentemente questo obiettivo investe la re­sponsabilità e l'interazione di tutte le figure edu­cative.

* In un tempo di pluralismo sociale e religioso occorre rilanciare in qualità l'oratorio come I’ambiente d'incontro tra giovani e adulti e come frontiera tra società civile e comunità ecclesiale. C'è in giro, purtroppo, una sfilata di caricature dell’oratorio: l’oratorio di iniziative scollegate e improvvisate; l'oratorio palestra che segue i ritmi degli allenamenti sportivi; l'oratorio dancing tutto festa, complessi e musica; l'oratorio cenacolo chiuso nel giro di pochi intimi; l'ora­torio fritto misto che miscela confusamente l’attività e spiritualità attinte ai vari movimenti e associazioni" (Bollettino Salesiano I N.3/198S).

Come deve essere ridisegnato il volto dell'oratorio perché diventi una "missione nella terra dei giovani di oggi’’.

Le beatitudini di Gesù di Nazareth hanno un fascino che duemila anni di storia non hanno in­taccato minimamente: rimangono una proposta di vita meravigliosa, appassionante, attualissi­ma, profetica, giovanile nel senso più alto del­la parola. Per questo mi piacerebbe riscriverle pensando ai nostri "oratori" e al loro faticoso ma insostituibile cammino. Dunque: beato l'orato­rio! Beato l'oratorio "povero", in cui la "qualità" dell'ambiente non è confusa con la modernità delle strutture o delle attrezzature. Beato l’ora­torio che non svende la sua finalità educativa per assicurarsi il "pieno di gente" e qualche risorsa finanziaria in più. Beato l'oratorio in cui si fa esperienza della povertà di spirito più radica­le: la preghiera e il silenzio. Beato l'oratorio in cui si sperimentano la mitezza, l'accoglienza, il servizio gratuito... Beato l'oratorio in cui la mo­derazione è considerata "fortezza": "strabeati" quei giovanissimi che, all'oratorio, possono in­contrare altri giovani che contestano, con la loro sobrietà, le bevute "off limits" o il divertimento da sballo... perché non offrono una soluzione cre­dibile al bisogno di "andare al massimo". Beato l'oratorio in cui le persone imparano a perdonar­si, a compiere gesti di condivisione. Beatissimo l'oratorio in cui "i più piccoli" hanno la grazia di "origliare", dagli amici più grandi, queste lapida­rie, indimenticabili parole: "Don, ho bisogno di confessarmi'.". Beato l'oratorio in cui i ragazzi e le ragazze sono aiutati a guardare all'amore come al capolavoro della loro vita; a parlare con rispet­to della sessualità, a custodire la trasparenza dei loro sentimenti, la verità dei loro gesti di affetto e a sentire, nonostante le "cadute di tono", che è "strabello" vivere di amore puro. Beato l'ora­torio in cui si canta la gioia di vivere nel gioco, nello sport, nella compagnia, senza rimestare nella fogna della volgarità. Beato l'oratorio in cui i giovani cercano il loro "progetto di vita" den­tro esperienze che non siano al di sotto dei più grandi valori, e scelgono, perciò, di affrontare la complessità degli stimoli dell'età e della società, lasciandosi accompagnare da una guida spiritua­le. Beato l'oratorio frequentato da adolescenti che sanno pagare cara, davanti agli amici, la loro fedeltà al Signore, con una testimonianza chiara e compromettente. E beato l'oratorio in cui non si snobbano i problemi della pace e della giustizia! Beato, infine, l'oratorio in cui i genitori non si limitano a chiedere e a criticare, ma scendono dalla "cattedra" e si sporcano le mani... Sì, un oratorio così è davvero beato!

Grazie, Padre. Un consiglio finale in 30 secondì.

Ne bastano venti. Lavorate, lavorate al miglio­ramento della gioventù. Anche il poco è qualche cosa e l'impedimento del male, ai nostri giorni, è già un gran bene.

L'intervista è terminata. Se è piaciuta, il meri­to va al nostro Padre Fondatore. Se è dispiaciuta mi batto il petto e recito il mea culpa, nella spe­ranza di un condono dall'alto.

P. Pasquale Princigalli, OSJ


 



Savino Sguera



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